K. Z.

FASEMO FILO’

K. Z.    [1]

(Dalla testimonianza resa da Ka-tzetnik 135633 al processo Eichmann a Gerusalemme)

“Gli abitanti del pianeta Auschwitz non avevano nomi.
Non avevano né genitori né figli.
Non si vestivano come si veste la gente qui.
Non erano nati la’ né li concepivano.
Respiravano secondo le leggi di un’altra natura e non vivevano né morivano secondo le leggi di questo mondo.
Il loro nome era Ka-tzeninik  e la loro identità era quella del numero tatuato nella carne dell’avambraccio sinistro”.

 

[1] K.Z. (Ka-tzet nella pronuncia tedesca) sono le iniziali di Konzentration Zenter (Campo di Concentramento). Ogni prigioniero di un K.Z. era soprannominato “Ka-tzetnik Numero…” – il numero personale di matricola tatuato sul braccio sinistro.

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Ed ecco la rivedeva, quella stupefacente riva d’approdo, quell’abbagliante composizione di edifici fantastici che la serenissima presentava agli sguardi riverenti dei navigatori che si approdavano: l’aerea magnificenza del palazzo ducale e il ponte dei sospiri, le colonne sulla riva col leone e col santo, il pomposo assetto del tempio fiabesco, il traforo della porta dell’orologio coi mori, e mentre contemplava si disse che arrivare a Venezia dalla terraferma era come entrare in un palazzo dalla porta di servizio, e che solo per nave, dall’alto mare, come aveva fatto lui questa volta, bisognava giungere nella più inverosimile città del mondo.

— Thomas Mann (Premio Nobel per la letteratura -1929), La morte a Venezia (Der Tod in Venedig, 1912)

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